2 marzo 2007

Pietra Irpina

Pietra irpina
L’Irpinia sub-appenninica è ricca di buoni materiali lapidei adatti alla costruzione e all’impiego pavimentale esterno; materiali un tempo reperibili un po’ ovunque, oggi sono estratti principalmente nelle cave di Sant’Andrea di Conza, Bisaccia e Melito Irpino e lavorati, oltre che nei suddetti siti, nei laboratori di affermata tradizione artigianale: Fontanarosa, Gesualdo, Grottaminarda, Montella, Bagnoli, Nusco, Lioni, Conza.
Nei centri storici scampati al sisma del 1980 la pietra è ovunque; nei portali e nei cantonali dei palazzi nobiliari, nei rosoni e nei basamenti delle chiese, nei davanzali e negli stipiti di porte e finestre, nei balconi e nei gattelli in aggetto, alla base delle case scavate nei fianchi delle rupi … sotto gli intonaci delle case in muratura … nei vicoli e nelle piazze; simbolo arcaico dei luoghi e della secolare abilità dell'uomo che sempre ha affidato alla incorruttibilità della sua superficie parole e segni da tramandare.
Dalle cave autorizzate di Sant’Andrea di Conza-Pescopagano e Melito Irpino si estrae una pietra compatta, chiara e variegata, adatta alla costruzione e alla decorazione, prevalentemente costituita da minerali “di durezza Mohs da 3 a 4”, denominata "brecciato irpino"; si presenta come un conglomerato ghiaioso di varia granulometria e cemento calcareo, costituita da breccia di matrice carbonatica e derivante da rocce sedimentarie; a granulometria minore corrisponde materiale di maggior pregio.
A seconda della granulometria e dei siti originari di estrazione si hanno le varie denominazioni: “favaccio” o “favaccia”, “favaccino”, “brecciato”, “pietra di Fontanarosa”, “pietra di Gesualdo”, ecc.
La superficie a vista viene lavorata bocciardata, picconata, scalpellata, pettinata, levigata e, di recente, sabbiata e burattata. All’interno viene posato con lucidatura in opera.
A Gesualdo si estrae, ormai episodicamente, l’ “onice di Gesualdo”, marmo di grande effetto decorativo, trasparente quando tagliato in lastre sottili, ricco di venature multicolori, non adatto per l’uso esterno.
A Bisaccia, viene ricavata mediante sfaldatura meccanica di cava, una pietra marnoso-calcarea, compatta, lavorabile, con interessanti effetti di colorazione sabbioso-giallastre miste a macchie grigio-brunastre e con vene calcistiche e rossastre. Viene cavata sotto forma di lastrame irregolare e selci, a spessore variabile (40-90 mm.) e pezzature comprese mediamente tra 20 e 60 cm.; il coefficiente di imbibizione medio, contenuto entro il 3%, la rende adatta all’uso esterno.
La buona consistenza strutturale delle due tipologie di pietra irpina, il variegato cromatismo, il comfort al calpestio, le possibili lavorazioni, la resistenza al gelo e all'usura per attrito, consentono una soddisfacente utilizzazione sia nelle pavimentazioni carrabili che pedonali.
La “pietra di Bisaccia”, lasciata a “piano cava”, si presta meglio in genere per pavimentazioni ad opus incertum o a cubetti; il “brecciato” si apprezza soprattutto lavorato in lastre regolari o a correre, basoli, cordoni, zanelle, caditoie, bauletti, dissuasori, panchine.
La posa in opera necessita di una preventiva fondazione di tipo stradale, costituita da una massicciata in pietrame misto costipato e rullato, a cui si sovrappone un massetto in calcestruzzo armato con rete elettrosaldata; sul massetto di posa, in genere realizzato con sabbia di fiume e cemento, battuto a mano, vengono posate “a fresco” le lastre in pietra; i giunti di fuga tra le lastre vengono riempiti con sabbia finissima e cemento in polvere e inumiditi fino alla presa.

Angelo Verderosa, tratto da Il recupero dell’architettura e del paesaggio in Irpinia
Manuale delle tecniche di intervento (a cura di A.V.)
De Angelis Editore, Avellino 2005
scaricabile on line: http://www.acca.it/ download da home page

1 marzo 2007

Irpinia e città lineari

in PresS/Tletter n.11 2007 (marzo 2007)
Purini, Guarini, Librizzi, Cosenza, Janni, Adami, Cogliandro, Piumelli, Diffuse, Sambo
Irpinia e città lineari
L'intervista di Verderosa -presst/letter n°8- (febbraio 2007) suppone un atteggiamento nostalgico nei confronti di una realtà (Irpinia anni '80) che certo non era il massimo, anche dal punto di vista dell'abitare. I centri storici, arroccati su colline, senza collegamenti stradali, pressochè isolati da tutto, erano fatti di case di pietra di cattiva qualità (non a caso sono venute giù quasi tutte), prive di qualsiasi confort, (spazi adeguati, riscaldamento, areazione). Gli abitanti decisero di abbandonarli per nuove residenze, perchè le loro condizioni di vita erano veramente primordiali. In casi, a dir il vero abbastanza rari, vivevano ancora insieme ad animali ed in antri scavati nel tufo.In Irpinia, per la ricostruzione del dopo sisma del 1980, è mancata soprattutto la cultura della modernità: ognuno ha pensato al suo piccolo, la casa da ricostruire, il progetto da realizzare, il paese da rifare, i voti da conquistare, senza un processo organico di ricostruzione, in cui prevalesse una visione complessiva delle cose da fare: ovvero una visione urbanistica allargata ad un territorio che non poteva essere il semplice ambito territoriale comunale.Alla fine degli anni '80, si è parlato di una città lineare, che lungo la valle dell'Ofanto, da Calitri, fino a Lioni, comprendesse dei frammenti metropolitani, atti a configurare una realtà urbana, dotata di funzioni urbane superiori. Il progetto è ancora nascosto nei cassetti della nostra Comunità Montana. L'idea poteva essere quella vincente, ma bisognava superare i localismi, fortissimi allora e fortissimi ancora oggi. Eppure questa città lineare sta prendendo corpo, ma al di fuori di un necessario processo di programmazione. I centri commerciali che stanno aprendo hanno reso possibile questa realtà incompleta e frammentata, facendo molto di più di tanti studi commissionati, ma mai attuati. Adesso che la gente ha ripreso ad emigrare, si sente il forte bisogno di rilanciare quest'idea, configurando un'ipotesi di città lineare, non necessariamente dotata di spazi costruiti, anzi fatta soprattutto di vuoti, dotata, ad esempio, di reti di comunicazioni wi-fi, centri di conoscenza e di ricerca, spazi per il tempo libero e lo svago. Una città sovraregionale, che parta da Candela, nei pressi dell'autostrada Napoli-Bari ed arrivi a Lioni, dove si innesta il collegamento per la Salerno Reggio Calabria. I centri storici, da questa spina dorsale urbana, riceverebbero linfa vitale, chiaramente se ad essa fossero adeguatamente collegati.La città lineare, disposta lungo la valle dell'Ofanto, non dovrebbe essere basata sulla residenza, dovrebbe avere come sistema portante la rete di comunicazione stradale e ferroviaria, già esistente, opportunamente potenziata, innervata da poli dove si concentrano i servizi e dai cui i diramano i collegamenti con i paesi circostanti. Una città multicentrica, una specie di polipo a più teste, con tanti tentacoli che rendano possibili gli agganci con le realtà metropolitane circostanti e renda completa e autonomo il sistema delle aree industriali costruite dopo il terremoto del 1980.La città lineare ha precedenti storici illustri: la ciudad lineal di Arturio Soria, esposta per la prima volta, a Madrid, nel lontano 1882. L'ingegnere spagnolo proponeva un'alternativa radicale: “Il tipo di città quasi perfetta sarà quella estesa lungo una sola via, con una larghezza di 500 metri, e che si estenderà, se necessario da Cadice a Pietroburgo, da Pechino a Bruxelles”. Parole profetiche, anticipatrice dei corridoi di cui si parla in Europa, per connettere l'ovest Europeo all'est.L'idea della città lineare sarà sviluppata dalla generazione successiva a quella di Soria, partendo dal rapporto residenza-lavoro; sarà riproposta negli studi teorici dei Tedeschi negli anni venti, sviluppati e applicati nel decennio seguente in Russia e nella citè linéaire industrielle di Le Coubusier. Tali studi si svolgevano in contemporanea o successivamente allo sviluppo della rivoluzione industriale; prendevano inizio dal problema della residenza e dal rapporto di essa con le aree industriali. Attualmente, occorre tenere presente della dimensione globale in cui la pianificazione urbanistica si svolge e della fase della post-industrializzazione, in cui predomina la produzione e il trasferimento di beni immateriali. Manco a dirlo, questa idea presuppone un atteggiamento orientato al futuro, che si ponga alle spalle ogni nostalgia di un tempo assolutamente privo di fascino, ma che spesso viene rievocato a sproposito. Arch. G.Piumelli-Calitri-Av