26 giugno 2007

fr. wilfrid in un intervista di alamaro

… << il Goleto è un luogo di “accoglienza del profondo”; … le pietre parlano se le sai ascoltare per poi “restaurare” il mistero che vi è racchiuso dentro, come in un’urna;
… bisogna restaurare primariamente il Silenzio che c’è dentro le rovine, le ferite architettoniche: questo il punto chiave per un giudizio sulla qualità dell’opera in corso; restaurare con amore l’immateriale, il mistero, la cui radice greca è appunto “silenzio”.
Non posso scassinare la parola di Dio ma posso mettermi umilmente in un percorso di ascolto. … Più che apparire forse bisogna “Esserci”; essere ogni giorno umilmente sul cantiere, discutere di piccole cose che fanno le grandi cose, un modo di Essere….
Fratel Wilfrid Krieger in un intervista di Eduardo Alamaro su PresS/Tletter n°17_2007

sul goleto in generale, gli interventi in corso
Il progetto attuato al Goleto ha coinvolto e reinterpretato numerose parti del complesso monastico e degli spazi rurali correlati, stabilendo un dialogo con il luogo, creando nuovi spazi, nuovi suggestioni, nuovi percorsi, nuove visioni, nuovi luoghi.I nuovi manufatti realizzati (murature, solai, coperture, scale, pavimentazioni, arredi), tutti di natura artigianale, disegnati e lavorati in cantiere, con materiali del luogo, con le malte derivate dalla frantumazione dei ciottoli e dei cocci ritrovati, si integrano con il territorio altirpino, reintrepretandone la natura e la storia in un nuovo scenario contemporaneo.
Torre Febronia
già mausoleo di Marcus Paccius Marcellus poi ristrutturata dalla badessa Febronia nel 1152 quale ultimo rifugio per scampare ai barbari longobardi… si accedeva con una passerella o scala rimovibile per potersi difendere… si è realizzato una scala-passerella in zincato, leggera, aerea, al di fuori delle Mura di cinta in modo da poter godere della campagna.
Museo
ai lati della grande chiesa settecentesca del Vaccaro gli spazi che erano destinati a sacrestia e cappella del Santissimo, grazie alla testimonianza dei fori lasciati dalle vecchie travi di copertura, sono stati ricoperti con una struttura in lamellare e acciaio, all’occorrenza reversibile; nuovi spazi vengono riabitati dopo 200 anni con l’intento di farne un luogo di eventi, di cultura, di silenzio.
Casale
la stalla dell’abbazia nascondeva sotto le croste di intonaco una scala in pietra del tipo a profferlo ed un arco ribassato, entrambi di fattura secentesca; la scala in pietra è stata protetta con un nastro in lamiera di acciaio naturale, lasciato a vista; i reperti ritrovati durante scavi e spicconature sono stati esposti al lato della scala.
Piazzale
memoria dei bianchi assolati spazi rurali dove si svolgevano le fiere del bestiame;
la ghiaia calcarea si è rimaterializzata con i cubetti lapidei di Bisaccia, lastre e basoli di Fontanarosa, ciottoli dell’Ofanto; tigli –amati e introdotti in Irpinia dai Longobardi- sul margine sud, a valle; canale in pietra e giochi d’acqua che recuperano per caduta naturale le sorgenti dell’Abbazia ritrovate a monte.
Wine bar
un gruppo di ragazzi della contrada si unisce per trasformare un fienile abbandonato e cadente in un wine-bar; amano i mattoni a vista e il cocciopesto per pavimento; dal timpano del fienile, seduti ai tavoli, si vede il timpano del Convento dell’Abbazia.
Comunicazione
San Guglielmo arrivò al Goleto nel 1133, vi è stato sepolto, ha dato il nome alla contrada ed è protettore dell’Irpinia; si festeggia il 25 giugno e la sua statua lignea viene portata a spalla, in processione, per l’intera contrada; il suo profilo è divenuto “logo” del programma di comunicazione integrato /orientamento/arredo/stampa/web_
Materiali
pietra irpina lavorata dagli artigiani di Fontanarosa e di Bisaccia, legno massello di castagno proveniente dai boschi di Montella, pietre e ciottoli e cocci recuperati dalle macerie, reimpiegati e/o macinati per farne malte e pavimentazioni di cocciopesto
Materiali e opere sintesi tra storia, ambiente e cultura locale; con l’obiettivo di restituire valore all’architettura, senza essere prigionieri della memoria, innestando il nuovo sul vecchio come si fa con le viti di aglianico, per vivere e comunicare luoghi imperituri, capaci di produrre identità.

25 giugno 2007

www.goleto.it

25 giugno 2007, San Guglielmo, patrono dell'irpinia

processione al goleto
Agli inizi del XII secolo, l’eremita GUGLIELMO, originario di Vercelli, dopo il pellegrinaggio a Santiago di Compostela, diretto in Terra Santa, si fermò in Irpinia, fondando prima Montevergine e poi il Goleto, con DOPPIO MONASTERO femminile e maschile, utilizzando il materiale di spoglio dell’insediamento di Marco Paccio Marcello.
San Guglielmo, oggi Patrono dell’Irpinia, morì al Goleto il 24 giugno 1142.
altro sul goleto ?
Già dal Paleolitico l’area del Goleto è stata interessata dalla presenza dell’uomo, poiché la sua collocazione geografica, varco della catena appenninica dei monti Picentini, ne ha fatto una tappa obbligata per il passaggio più breve tra i due mari, il Tirreno e l’Adriatico.
Luogo di ristoro, ricco di acque, perennemente attraversato da transumanze e pellegrinaggi tra l’antica Picentia -golfo di Salerno- e il Gargano o la Terra Santa.

L’insediamento di tribù sannitiche intorno alle valli dei Fiumi Ofanto, Sele e Calore, contribuì a definire l’identità di questo territorio che prese il nome dalla tribù eponima degli HIRPINI, traendo l’etnico dal sannita hirpus “lupo”. La località Goleto, nell’attuale territorio di Sant’Angelo dei Lombardi, ha coinciso fino a tutto il primo millennio d.C. con i resti del monumento sepolcrale che vi costruì MARCUS PACCIUS MARCELLUS della tribù Galeria, centurione della Legio Scitica.

Agli inizi del XII secolo, l’eremita GUGLIELMO, originario di Vercelli, dopo il pellegrinaggio a Santiago di Compostela, diretto in Terra Santa, si fermò in Irpinia, fondando prima Montevergine e poi il Goleto, con DOPPIO MONASTERO femminile e maschile, utilizzando il materiale di spoglio dell’insediamento di Marco Paccio Marcello. San Guglielmo, oggi Patrono dell’Irpinia, morì al Goleto il 24 giugno 1142.

Emile BERTAUX (1879-1917), autore della monumentale “L’art dans l’Italie mèridionale” (Parigi 1904), fu il primo a stabilire un rapporto di continuità tra il federiciano CASTEL del MONTE (iniziato nel 1240) e l’Abbazia del Goleto (Chiesa Superiore ultimata nel 1250); e tra questi e l’Hotel Dieu di Reims in Francia, sottolineando la valenza artistica europea del complesso monastico del Goleto.

Nel 1506 Giulio II sancì la definitiva soppressione dell'abbazia femminile del Goleto.
I terremoti del 1694 e del 1732 causarono notevoli danni all'impianto del doppio monastero. Nel 1735 fu incaricato Domenico Antonio VACCARO per una nuova e imponente chiesa. Nel 1807 Giuseppe Bonaparte soppresse le congregazioni religiose confiscandone i beni; finì così l’Abbazia, spogliata e abbandonata, luogo di ruderi e di pascolo, fino all’arrivo, nel 1975, di un’altro eremita, P.LUCIO MARIA De MARINO. Il terremoto del 1980, pur arrecando gravi danni strutturali, ha fatto riscoprire l’Abbazia e riavviato una serie di interventi di recupero e valorizzazione. Parte dell’Abbazia è abitata dai piccoli fratelli della Comunità Jesus Caritas fondata da CHARLES De FOUCAULD; è un luogo di SILENZIO, di culto e di esercizi spirituali.

24 giugno 2007

www.iltufiello.it

abbiamo ospitato una coppia di inglesi di Glasgow, hanno comprato casa a Cairano, siamo molto contenti che tanti turisti inglesi si siano appassionati all'Irpinia . Abbiamo visitato il sito di Cairano, che bello! Molti saluti e buon lavoro dall'Agriturismo il Tufiello.

15 giugno 2007

ringraziamo per il cortese invito da Teora

Carissimo architetto ho ricevuto la tua e-mail con l'articolo su Teora dell'esimeo Arch. Alamari
"mè proprj piaciut'' però non ho trovato la foto che facemmo davanti la chiesa di Teora.
La tua e-mail mi era andata a finire nella posta SPAM poi l'ho dovuta portare tra quella desiderata per poco non l'ho cancellata.
Per quanto riguarda il pranzo di domani sabato 16 giugno 2007 a Bisaccia non siamo sicuri
di poter partecipare per due motivi: Tonino Restaino rientra da Bruxselles (arrivo previsto a Teora sabato ore 4,30 del mattino) ed io devo portare i ragazzi dell'A.C. a Sant'Angelo
dalle nove della mattina fino alle tre del pomeriggio. Faremo il possibile per raggiungervi.
(ho telefonato ad un architetto di Lioni "Verderosa" ma non eri tu, il tuo recapito qual'è?)
ringraziamo per il cortese invito da Teora e da Emidio c i a o
P.S.
Il filmato mi è stato suggerito da una mia parente che vive negli STATES. Molto simpatico da vedere.

14 giugno 2007

Alamaro a TEORA

EDUARDO ALAMARO, come annunciato, APPRODA a TEORA
Ho ritagliato il suo intervento poiché molti mi hanno scritto di aver avuto difficoltà a trovare il testo nell’ambito della rivista.
Non me ne voglia LPP. Chi vuole approfondire può comunque collegarsi a http://www.prestinenza.it/ http://presstletter.com/

Edoardo Alamaro ci parla di: La scossa scassa / 2 (un giorno da TEORA)
INTERMEZZOLa scossa scassa / 2 (la Teora infuriata) Dai leoni di Lioni ai tori di Teora, seconda scossa d’architettura post/irpina, decimo grado scala eldorado, nuovo “intermezzo” sismico, sussultorio ed ondulatorio insieme, non ci facciamo mancare nulla a “PresS/Tletter”, grazie LPP. Siamo arrivati comodamente in macchina sulla Tora (dal greco, altura, ndt) di Teora, 1500 abitanti, 600 nuclei familiari, tre colli sormontati (nello stemma comunale) da un toro; anzi da un castello quadrato (con maschi cilindrici negli angoli) e una chiesa barocca con alto campanile, quello di San Nicola de Mira (acuta), protettore del paese e del centro abitato medioevale tutto, acquattato sotto i due edifici-chioccia, emergenti e potenti nell’antico skyline addormentato. Di tutto ciò non c’è più niente, né il castello-gallo (con cresta e merli decaduti), tanto meno la gallina-chiesa/madre; idem il “pollaio” dell’abitato “di sotto” (località Pianistrello), coi nidi abitativi secolari e i suoi pulcini ormai orfani, pigolanti e tremanti dal freddo. Ma non piangete, amici dell’Intermezzo, non disperate: è vero che chioccia, gallo e pollaio sull’antica Teora, quella povera venuta su a granone, calce e pietre del luogo, sono stati spazzati via dalla terribile botta del terremoto dell’80 (e dai suoi complici “ruspanti”, mi capite?), ma quelle familiari emergenze architettoniche sono state riconfermate e potenziate dal piano di recupero del centro storico post/sisma dovuto a Giorgio Grassi e Agostino Renna (con collaboratori), quali segni insopprimibili della Storia, permanenza del Monumento nel luogo, memoria collettiva da collettivizzare. Come a dire: dov’era (“l’ineludibile monumentalità”), ma non com’era: gallo, gallina e pollaio sulla tora, cioè la casa/fortezza militare di sopra, il campanile santo di mezzo e l’abitato-suddito “di sotto” – il triangolo, anzi, il teorema di Teora – sono stati sostituiti da analoghi e “moderni” segni/sogni, in linea con una possibile “Te-ora (et labora)” d’oggi, derivata da una “costruzione logica dell’architettura”, fatta a tavolino, nel luogo, per il luogo, ma – pare – non con quelli del luogo, qui il punto. Ogni scelta progettuale (così come ogni nostro “Intermezzo”) è una scommessa, un rischio in sé, si sa, nel gran Casinò del gioco d’azzardo dell’Architettura moderna, e quella fatta sulla tora (altura e teoria) di Teora è stata persa, non c’è dubbio, secondo gli abitanti che si affollano qui intorno, fuori la chiesa, e che mi dicono tante (feroci) cose sul nuovo abitato compatto “di sotto” e su quello del Castello che sta “di sopra”, ahinoi; architetture che “loro” butterebbero volentieri via “in blocco”, come abiti dimessi e/o fuori moda, ma non si può, non è edilizia “pret-à-porte”, edilizia da rot-amare, ma solo d’amare, per amatori, anzi per ama-teoros, specie che però qui manca. Si, nella pratica, la nuova “Teh!Ora” (senza labora), non ha funzionato molto: questi simulacri del passato son rimasti ancor oggi, per questi abitanti, interrogativi monumenti non abitabili, non comodi; ci stanno dentro a forza, tori e teoresi scalpitanti ed infuriati, come “castellani a forza”, loro malgrado, esposti a tutti i venti (e gli eventi) della Tora. Al pari pregano a forza in quella chiesa “di mezzo” (progettata da Giorgio Grassi) solo perché è un atto di fede: lì dentro c’è comunque l’Ostia consacrata, ma non amano quel tempio, anzi “uno” mi dice al volo che “pare ‘nu garage”, con Gesù parcheggiato dentro, mentre Loro, (l’oro?) l’avrebbero gradito più mobile; anzi “ultramobile”, flessibile, più abitabile dall’ uomo d’oggi, col telefonino ed il computer, modello Giovanni Paolo. Uomo e fedele modello “Santo subito”, anzi, ‘e ssubbito! Sintetizzo e riformulo quello che ho ascoltato per Voi, se ci credete, ma ho come testimone la Verderosa post/Irpinia: se prima (del sisma) Teora era uno dei tanti paese-presepe del nostro Appennino campano, ora, nella sua parte più radicale, è un paese-presepio in scatola, concentrato in sei blocchi, simili a sei container, “sei enormi casse da morto”, mi dicono i più cattivi; se prima (del sisma) era un paese sfuso ora, per molti versi, è un inabitabile paese a “pacchetti”, come le sigarette di contrabbando a Napoli del dopoguerra: “Camell, Marlborr, Cesseffiete, chi fumma a Teora!!!” Ed il fumo (d’architettura) fa male agli abitanti, si sa! E’ allarmante ma al contempo interessante tutto ciò. Mi piacerebbe capire meglio (un’altra volta, LPP “multa”) come i teoresi (o teorosi?) “in compressa” del Pianistrello, località ora ribattezzata “Piangistrello”, si sono ripresi lo stesso spazi di libertà abitativa; come hanno reso in qualche modo abitabile, sopportabile, quel rigido plastico architettonico “di tendenza”. Si vede a occhio che “la gente” ha spertusiato (bucato, ndt) quelle facciate “sovietiche”, bulgare, (come le chiama il giovane sindaco, che gentilmente ci ha “informato sui fatti”, nonché del suo tentativo di mantenere «‘u carro pa’ scesa»); si dovrebbe entrare nei singoli appartamenti, studiare cos’è avvenuto “dentro”, capire “da dentro”, antropologicamente, il contro-uso (ed ab-uso) dei tori e teoresi di massa; come hanno dato cornate e “ciampate” all’interrogativa scatola d’abitazione “a sorpresa”. E’ una sorta di sangue ed arena dell’Architettura, sisma continuo. Grassi se lo prendono lo fanno Magri, scherziamo, scherzano, o no? E mo’? Moplen? Teorem? Che farem? Che faranno? Modesta proposta: evacuare le nuove Emergenze, sottolineare l’Emergenza del Monumento, ben colta dal progetto post/irpino, che a me non dispiace, nella sua astrattezza ed inattualità, nel suo essere necropoli, grande colombario (forse unico riuso compatibile). Fossi Grassi, ma non ho “la stazza” (né la stizza degli abitanti), riconoscerei umilmente che la “collettivizzazione forzata d’architettura” non ha funzionato, non è stata capita, non so, non è (e c’è) più tempo; forse gli abitanti non sono stati all’altezza degli architetti, non ne hanno colto il messaggio, né il massaggio del loro illustre compaesano Agostino Renna; si sono spersi nel Monumento, non si sono ritrovati nel minimo vitale, non si sono ritrovati nell’intimo e nell’intimità di Theorà, non ne hanno letto le “istruzioni per l’uso”, recitano a soggetto su quel canovaccio. E’ per questo motivo ho vissuto ogni modifica apportata, ogni finestra spostata dagli abitanti, come uno sfregio alla Gioconda, o l’aggiunta di un pizzetto a quella già “modificata” genialmente da Duchamp. Ma siamo diventati veramente tutti Giocondi? Tutti artisti? Per salvare il salvabile, per salvare quest’Architettura estrema e nobilmente patetica, bisogna svuotarla assolutamente dagli “ingrati” abitanti, dal primo fedele fino all’ultimo bambeniello di Teo(comp)rà; renderla puro spazio metafisico della memoria, assoluto Memento e Monumento al post/sisma, a ciò che l’Architettura – coi suoi strumenti disciplinari più rigorosi – ha cercato di fare, bello (o brutto) che sia, fate voi, ad ognuno il giudizio, se lo ha! Una prece su tutto ciò. Stop, alla prossima puntata del tour, a curiosare nella Bisaccia di Aldo Loris Rossi, ma con calma. Saluti, alla prossima da Venezia/Biennale, Eduardo Alamaro (Eldorado)

6 giugno 2007

La scossa scassa ( LIONI )

EDUARDO ALAMARO ha deciso di intraprendere un viaggio-inchiesta nell’ IRPINIA del dopo-terremoto. Si è ricostruito tanto … hanno lavorato le grandi firme nazionali dell’architettura … i risultati ? Non se ne è mai parlato, una sorta di rimozione “culturale”.
La PresS/Tletter di questa settimana (n. 20- 2007), che ricordo in Italia è letta da circa 50.000 professionisti, tecnici e non, ed ha una diffusione superiore sia a molti quotidiani che a tante riviste di settore patinate e stampate, ha deciso di seguire ALAMARO in questo viaggio.
La prima tappa è LIONI dove ho accompagnato Eldorado insieme a Rino Sorrentino che qui saluto; il resoconto segue in evidenziato.
Prossimo reportage su PresS/Tletter: TEORA. Sabato 16 giugno dovremmo essere a Conza e Bisaccia con pausa pranzo da “zi Luigi”; chi vuole partecipare risponda alla presente. Se vi annoio con le mie mail scrivetemelo. Saluti affettuosi, angelo verderosa

PresS/Tletter n. 20- 2007 http://www.prestinenza.it/ http://presstletter.com/
Nella rubrica INTERMEZZO, Edoardo Alamaro ci parla di: La scossa scassa / 1 (un giorno da Lioni).
La scossa scassa / 1 (un giorno da Lioni) Che domenica indimenticabile, santificata al Signore delle scosse, al Dio tellurico che tutto move & Smove. La scossa scassa e poi si batte cassa! Sono infatti di nuovo nell’Irpinia post/sismica, la post/Irpinia nata dalla “grande botta” del 23 novembre 1980 (e chi se la ricorda più?), ricca di architetture spesso dovute a grandi e piccole firme, ad archistar mancate e/o locali; nel complesso un patrimonio edilizio a suo tempo molto parlato e s/parlato, un cratere (di parcelle) oggi dimenticato, sostanzialmente non indagato (a parte la magistratura dell’Irpiniagate), una rimozione collettiva, forse una perdita (di tempo) critica. Ma noi, sfaccendati interSmezzatori d’assalto, abbiamo tempo da perdere e ci “sfiziamo” a ri/vedere queste opere sociali terremotate, ormai sufficientemente collaudate dall’uso, usufruendo peraltro di una guida “indiana” color Verderosa, sempre sia lodata, mai lordata. Iniziamo il tour dal “cuor di Lioni”, dalla sua moderna piazza, assolata e deserta, un vuoto interrogativo metafisico, un cratere permanente di cinquemila metriquadri, una specie di piazza del Plebiscito senza plebiscito partenopeo – oggetto di un vivace scambio d’opinioni su questo foglio on line (cfr. PresS/Tletter nn. 23 e 24/2006, ndr) – con in cima un solenne e classico tempio, anzi un santuario, quello di San Rocco, edificato su progetto del grande “accademico d’Italia” Giovanni Muzio, credo l’ultima sua opera, dono personale al parroco, suo amico, Padre Roberto, francescano, col quale parlo simpaticamente. Originario di Paduli nel beneventano, il paese di Mimmo Paladino, il frate mi dice che aveva conosciuto Muzio in Terrasanta; che l’illustre architetto gli offrì il progetto di ricostruzione della chiesa post/sisma, un’opera intensa “da contemplare prima che da usare”; che per questo motivo era sceso giù da Milano ed era stato tre giorni umilmente in una roulotte, al pari degli altri terremotati (quei bravi architetti d’una volta che ancora progettavano vedendo e vivendo i luoghi “dal vero”!); che poi Muzio era morto nel 1982 e che suo figlio concesse “il placet” per la continuazione dell’opera no/profit; che si è cercato di rispettare in tutto e per tutto il progetto del Maestro, la grande chiesa a pianta circolare (che però “non circola”, anzi non quadra), un Muzio tardo, non più Scevola, ma che piuttosto scivola dal cuor di Lioni d’oggi pulsante. Per Padre Roberto la fedeltà esecutiva al progetto è il segno concreto del “rispetto” dovuto al Maestro, all’amico, all’architetto più “francescano” del novecento; e ciò contrariamente a quanto avvenuto per altre chiese del post/sisma irpino (oggetto peraltro, a suo tempo, di una mostra con relativi plastici e grafici, mi dice), ove è palese la distanza (anche di tempo) che corre tra il progetto e la realizzazione dell’opera, talvolta un vero e proprio tradimento, se non traviamento. Gli obietto che spesso le difficoltà della realizzazione stanno “nel manico”, e che cioè il progetto è già carente ed astratto in sé, improbabile, “bello” 1/100 ma paralitico in scala 1/10 e ancor peggio avvicinandosi “al vero”; come la parola del Vangelo che rimane ferma sull’altare, che non s’incarna, e la nostra è un’arte applicata, una religione pratica (e anche un po’ puttana e molto contaminata). Sembra convinto, annuisce, ma poi deve celebrare messa, andiamo via, saluti e baci accademici all’eroico Muzio Scivola. Attraversiamo il vuoto interrogativo della piazza (con muro loggiato) e andiamo di fronte, da don Tarciso, un padovano sceso dal cielo al Sud con gli aiuti provvidenziali del terremoto che poi qui s’è impiantato da parroco, molto attivo ed amato. Infatti è simpatico ed estroverso, con lui non puoi non ascoltare la Messa; ci dicono che è un grande animatore, il suo edificio di culto (la chiesa di Santa Maria Assunta) è modesto e, diciamo la verità, pure bruttino e cafunciello, ma è pieno di gente che sembra felice e partecipe, che lo chiama mentre scambio con lui quattro chiacchiere non inutili. Mi dice che, nel tempo del post/sisma, si oppose fieramente ad un progetto di Riccardo Dalisi “il partecipativo”, che però in quel caso pare che non partecipò molto coi Lioni locali (che fan rima con guagLioni e con i due CastigLioni, semmai). Roboanti e tipiche del tempo erano le intenzioni di progetto. Scrisse infatti su autorevole rivista (“Spazio e Società” n. 19, settembre 1982, pp. 72 e sgg., ndr): “Bisogna partire dal presupposto che ogni popolazione ha in sé un potenziale di recupero, la capacità di ricostruire, di rifarsi dal trauma dell’evento sismico. In altre parole le popolazioni devono autogestirsi l’emergenza ...” ma di fatto (e fatti architettonici) anche “Totocchio” calò dall’alto la sua suggestiva idea di progetto (involucro concettuale trasparente, interno con frammenti architettonici dada, ..) che fu percepita sostanzialmente come museale ed astratta: una sorta di memorial, di reliquario autocelebrativo, invivibile e impraticabile per il culto “pratico” della gente in carne, ossa e spirito. Fu questo il giudizio inappellabile espresso dai parrocchiani e dal prete che a loro volta forse volevano un impossibile “dov’era e com’era” (e che la proposta dalisistrata & spostata in avanti di fatto radicalizzò all’indietro). Che peccato, sarebbe stato un bel confronto in piazza: Muzio/Dalisi, classico/anticlassico, permanenza/permanente e/o messa in piega dell’architettura, gran coiffeur! Basta, dobbiamo interrompere, anche qui c’è la Messa, in contemporanea con quella del Santuario “di sopra”, due al prezzo di una, andiamo via, grazie fecondo don Tarcisio, a presto! Saliamo in macchina, c’è tanta architettura (ed edilizia) da vedere nel cuor di Lioni (mi indicano al volo qualche opera, ma non c’è tempo per scriverne, un’altra volta, LPP “multa”, già ho sforato) e ci dirigiamo a Teora, il paese/presepe aggrappato sulla collina che diede i natali al quònnam Agostino Renna, che qui operò nel post/terremoto, “tendenziosamente” con Giorgio Grassi. Stop, fine prima puntata. Conservate il biglietto, il seguito alla prossima, forse. Premio a sorpresa per chi seguirà tutte le puntate terremontate. Saluti post/irpini, Eduardo Alamaro (Eldorado)

5 giugno 2007

riciclare in campania


Un impegno dopo la lettura dell’allegato, riutilizzare almeno la carta in ufficio / studio anche sull’altro lato per bozze, fotocopie interne, ecc.
Non “appallottolare” nel cestino, conservare la carta in casa / garage fino alla fine dell’emergenza. saluti, angelo verderosa

Si irngrazia per il consiglio, io penso però che la questione sia
altra. Al punto in cui siamo arrivati, Napoli soprattutto, il problema potrebbe essere risolto se i Napoletani non mangiassero più. Non ti sembra che questo governo o questa regione sia diventata un po' troppo democratica?! __mimì

Grazie per il "salubre" e gradito messaggio; ho messo un post-it nel sito appena messo in rete http://www.blogger.com/www.udcavellino.it
Non esitate ad inviare ogni articolo e/o documento che riterrete opportuno. Grazie, un abbraccio. Enzo