5 gennaio 2008

da Lisbona, Marco Ciriello

Per la serie "esercizi di ammirazione" iniziata con Innarella e proseguita con Fumagallo, mettiamo qui un reportage di Marco Ciriello. Si può essere bravi scrittori e vivere in un piccolo paese come Pietrastornina. Marco scrive per Il Mattino e ha pubblicato due libri con Pequod. Il resto ve lo dirà lui in uno dei prossimi incontri della Comunità. ___ f.a. 3.1.2008
Le scale della metropolitana hanno il respiro dei poveri e la puzza di piscio di chi ci passa la notte. È quello il primo odore che senti, poi alzi gli occhi e leggi: «Cais do Sondré». Il secondo è un pensiero per la vita silenziosa della città. Ti muovi con familiarità, non devi fuggire dall’istante, c’è una tranquillità per le strade mattutine che sfiora la finzione. Ha rampe che ti consegnano al mare rubandoti il fiato e vicoli che ti inchiodano al realismo delle voci sui muri: «O Estado rouba, rouba ao Estado». Quando vedi un tram, vecchio, giallo, stinto, spuntare dalle spalle di un palazzo piastrellato d’umido: arrancare e presentarsi semplice e stupido alla ripetizione del suo tragitto, non puoi che sorridere della sua certezza: c’è e ci sarà ancora. Rassicurante come una preghiera. I tram attraversano ignari piazze immobili per il piacere dei turisti, sospesi in mezzo alle morbide piogge di questa città, orfani nella notte, girano per tranquillizzare. Lisbona ha un ritmo lento, per questo se li è tenuti, ha strade piene di luce e cieli trasparenti sul silenzio, spesso rotto dalla gente che urla a testa alta. In molti parlano soli. Seduti, composti, vecchi biglietti della sorte fra le mani o in tasca, fumano cattivo tabacco e puzzano di fritto i pazzi lisbonesi. Li puoi trovare seduti alle fermate dei tram o alle scale della metro, hanno tutti la faccia stanca, molti giorni di pietà in arretrato, e al pari dei tram riempiono le strade aspettando che finisca il giorno. Città tagliata col coltello, si mostra in disordine senza vergogna, sporca di cuore. Ha palazzi d’azzurro porcellana e finestre bianche, squadrate case che registrano luce e sguardi, calore, spazi stretti che diventano salite e selciati, e terrazze con panchine che ci passeresti la vita a guardare di sotto una smorfiosa cattedrale senza tetto, l’immenso spazio d’una piazza o una nave: pettine dimenticato in mezzo all’acqua. Qui si rischia la pigrizia di un sepolcro se lasci vincere l’anima. La ruggine, ombra ruffiana del tempo, accompagna i passi dei turisti. Le insegne sbiadite delle pasticcerie e le loro vetrine che sembrano strade dell’est fanno il paio con la malinconia dei giorni che s’accorciano e le facce da madonne tristi che hanno le portoghesi. In metropolitana, invece, vedi le città da dentro, senza palazzi, solo gente e gallerie, e storie, come quella che racconta a una sua amica la donna salita a «Baixa-Chiado». Dice di aver trovato uno che vendeva giornali d’epoca, comprato un quotidiano con la data di nascita del suo amore: quel giorno di marzo del ’56 si annunciava la prima traversata di non so che cima della terra del fuoco. O la ragazza angolana che - prima di scendere alla fermata di «Martim Moniz» - dice alla sua vicina di posto che oggi ha fatto i conti con la polvere e le ragnatele della casa dove lavora, e quando accenna alla sua vittoria sui ragni: ride rumorosamente, davvero contenta, come se avesse sconfitto Carlo Magno. Sulle pagine de o «Público» il sociologo Antonio Barreto racconta come sono cambiati i portoghesi negli ultimi anni, e seppure in movimento siano rimasti religiosissimi e orgogliosi della propria identità ma a un livello di vita ancora molto basso rispetto alla media europea. Alla fermata «Rossio» c’è un azulejos di una donna in fuga fino a scomparire dietro la linea delle piastrelle che tutti fotografano, e accanto una immagine di un’altra donna, stropicciata, quasi avesse pagato il passaggio. Prima dell’uscita un arabo vende chincaglierie e poco più in là un cieco elegantissimo intona una nenia ogni volta che una moneta risuona nel contenitore di plastica giallognola ai suoi piedi. Alla fine della strada da un furgone verde viene fuori la voce di Amália Rodrigues che canta fado sommergendo la voce del cieco. Uscendo ad «Alameda» si spunta in un bel parco pieno di gente. C’è sole caldo e molti clochard stesi a terra. Un glabro ciccione è il padrone dell’enorme fontana che chiude il lato piccolo del parco con i suoi cavalli di pietra. Disteso, pancia all’aria, si gode la bella giornata. Poco distante un nero seduto su un mucchio di cartoni recita la parte del cattivo, urlando cose incomprensibili a quelli che corrono in tondo, chiude: un sassofonista biondo e barbuto che suona Louis Armstrong. Alla fermata successiva «Olaias», si esce di fronte a due campi nuovi di zecca, uno di rugby: vuoto, e l’altro di calcio, pieno zeppo di ragazzini che sognano Cristiano Ronaldo. Il più bravo ha una vecchia maglietta di Saviola, calciatore argentino, promessa non mantenuta, e agli altri proprio non riesce di marcarlo. Si riparte in compagnia di giovani tedesche, super attrezzate, hanno guide e mappe e telecamere. Mentre sfilano le stazioni di «Bela Vista», «Chelas», «Olivais» e «Cabo Ruivo», pura periferia, si ha l’impressione che tutti filmino le stesse cose che poi finiscono su You Tube, quasi a voler giustificare che hanno vissuto, viaggiando. E osservando le ragazze tedesche: più che fotografare o filmare, sembrano intente a controllare che tutto corrisponda alle guide, perdendo quelle poche ore di gioia che un posto regala a chi gli è estraneo. C’è una pagina di Pessoa dove racconta del più grande viaggiatore conosciuto: un garzone che passava dal suo ufficio, instancabile collezionista di dépliants pubblicitari di città. Un voyeur di cartine geografiche e illustrazioni di paesi lontani. Si faceva dare dalle agenzie di viaggio le guide a nome di un ipotetico ufficio. Aveva opuscoli pubblicitari delle rotte navali dal Portogallo all’India, all’Italia, fino all’Australia. E l’aspetto che lo divertiva maggiormente era che il ragazzo conosceva esattamente per quali ferrovie si andava a Parigi o a Londra, e la sua pronuncia sbagliata di posti lontani li rendeva ancora più misteriosi e interessanti, finendo per avere un mondo tutto immaginifico e distorto dai propri desideri. Tra il garzone di Pessoa e le ragazze tedesche c’è la differenza che passa fra l’innocenza di uno sguardo bambino e la corruzione di uno adulto, non a caso Wim Wenders si poneva una questione molto simile girando «Lisbon Story», finendo per affidarsi alla casualità dello sguardo. Quando si arriva nella nuova stazione «Oriente» opera di Santiago Calatrava, si precipita in una storia di Moebius: gli ascensori tondi e trasparenti che attraversano le arcate in cemento a vista, procurano un salto temporale per chi viene dal centro della vecchia Lisbona, piastrellata, colorata e decadente. Attraversando la stazione con la sua cresta d’osso da dinosauro, il centro commerciale e le opere di architettura di un vecchio expo, si guadagna la vista del fiume Tago. Qui c’è l’unico posto dove la città non esiste e perde completamente il suo fascino, diventando un altro mondo: l’oceanario. Però, dentro i bambini, e forse anche gli adulti, provano sentimenti in modo naturale verso una specie diversa. Ponendosi curiose domande del tipo: come è strana la vita dei pesci? che memoria hanno? c’è stato un tempo lontano che ci apparteneva? Lo scivolare nell’acqua dei pesci è amplificato fino a diventare il suono guida nell’edificio, grandi e piccoli ne seguono imparzialità e soggettività, capriole e cambi di rotta, e i loro occhietti a palla, incavati o anche introvabili, diventano oggetto di discussioni. Che poi vedere in una cosa più di quello che lei stessa vede: è non vedere nulla. L’interesse è per un piccolo, sottile, pesce zebrato dall’andatura sbilenca, e sulla gobba: riflessi dorati. Quando abbandona il suo lato dell’acquario e si abbassa fino a scomparire, sembra una navicella che affonda, portandosi via anche questo vago giorno lisbonese.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

L’anonimo per forza ha scritto:
BASTA CON LA FINTA LETTERATURA DA VIAGGIO!
Basta, per favore! non se ne può più con questa cazzo di letteratura da viaggi. Sono stufo di leggere resoconti graffittati di Turisti Non Per Caso! Meglio vedere "Alle falde del Kilimangiaro" o sapere e vedere documentari di viaggiatori estremi con gli sci o con la bicicletta, con un catamarano o un deltaplano! Il blog, o chi lo redaziona, propone cose che si leggono sui giornali e si sa quanto siano utili poi i giornali appallottolati e infilati dentro le scarpe per non farle deformare! Qui si sente tutta la crisi della letteratura italiana e per fare una cosa chic ci rifugliamo nel viaggi all'estero?
Ma chi se ne frega di questi pezzi graffittati? Non è forse meglio raccontare quando la prima volta ti hanno portato da bambino a Materdomini al Santuario San Gerardo Majella o a Montevergine? Personalmente amo storie, ma qui si capisce che il blog vuole amplificare la platea dello scrittore cosiddetto noto. Capisco che ci sono scrittori che fanno questo per vivere (pubblicando resoconti sui giornali), ma personalmente apprezzo i resoconti degli inviati speciali in zone pericolose. A volte tipo Bernardo Valli o Mastrogiacomo i quali prospettano autorevoli spunti letterari e soprattutto informazioni utili.
L'esercizio di stile resta tale e come tale é pressoché inutile a chi dovrebbe fare un commento.
E cavolo! scrivete o pubblicate un racconto, una storia, così rifletteremo e troveremo il modesto stile per fare letteratura, e, quindi, tenteremo anche di fare un commento! Non se ne abbia a male chi "redaziona" il blog. Forse sarà utile sapere di Marco Ciriello per qualcuno dei frequentatori del blog considerando i gangli ed il languore della nostra editoria marketinghizzata e soprattutto i perfidi meccanismi di entrata con assicurata visibilità pubblica, ovvero la notorietà, che, poi, non è sinonimo di qualità e di importanza (letteraria!) ovviamenente!
In questo modo si sbaglia e l'autocelebrazione lasciamola ai facinorosi della politica che sanno meglio farla e sempre “pro domo sua”! L'anonimo per forza da non confondere con altri salaci scritti in questo blog ma che, comunque, hanno fatto sorridere e riflettere!

Anonimo ha detto...

Non capisco l'acrimonia dell'anonimo sul pezzo di Ciriello: forse che le impressioni di viaggio, una volta messe per iscritto, non costituiscono una storia? Il viaggio è l'ipotesto inevitabile di ogni narrazione, da Ulisse in avanti. E per quale piccineria di vedute una gita a Materdomini dovrebbe valere più di una a Lisbona? Almeno qui i luoghi da onorare sono laici e non superstiziosi!

Anonimo ha detto...

L'anonimo per forza ha scritto:
Ma no! di questo passo saremo sempre nell'ipotesto (basso testo)e non nella letteratura!
La difficoltà è offrire delle storie e non impressioni di viaggetti...
Non a caso il pezzo di Ciriello è un esercizio di stile, ma non c'è acrimonia solo rammarico per mancato interesse per la fabula! Qui si tratta veramente di appunti giornalistici graffittati! Purtroppo quando si pubblica qualcosa è sacrosanto il diritto del paziente lettore di dissentire criticamente (decalogo di D. Pennac).
Se poi altri ci vedono acredine e non dissenso, beh, allora è stato veramente positivo manifestare il pensiero in modo anonimo.
Qui davvero c'è tanta sfiducia per confronti e allora vuol dire che il blog deve essere sfoltito da chi scrive per cui inviterei tutti a essere semplici lettori senza trovare difficoltà per le minestre proposte, sperando che non si offenda adesso qualche altro perchè ho usato la parola "minestra" al posto di "esercizi di ammirazione".
Ho ammirato abbastanza, grazie! e mi sono annoiato, dissento e perdonate la necessaria scostumatezza, perchè fuggoooo!

comunità provvisoria ha detto...

Amici vi confesso che non conosco nè Ciriello, né Mastrogiacomo nè Valli. Da piccolo però sono andato a piedi a San Gerardo e lo faccio tuttora con i miei figli nella prima domenica di settembre. Vi sarei grato pertanto se presentaste, possibilmente senza anonime stroncature (vista l'antipatia che suscitano già quelle firmate nelle varie pagine 'cultura') in poche righe Ciriello, Mastrogiacomo e Valli (senza costringer-ci a ricerche su google) e in modo da comunicare le differenze di stile e farci capire la differenza tra viaggi e viaggetti. grazie, angelo verderosa

Anonimo ha detto...

ALAMA' se ci sei dicci qualcosa su CALATRAVA e sulla sua cresta d'osso di dinosauro (come scrive Ciriello). resta con noi.
angelo

Anonimo ha detto...

ALCUNI COMMENTI VENGONO SPEDITI IMPROPRIAMENTE come posta elettronica a: altairpinia@gmail.com
CONVIENE invece SCRIVERLI COME COMMENTI al POST della home page (si evita così lavoro redazionale nel trasferire dalla casella di posta al blog). Per proporre un POST "primario" utilizzare invece l'indirizzo della mail. grazie, angelo verderosa
p.s.: in genere si procederà per inviti a scrivere il POST PRIMARIO (UNO A SETTIMANA), IL RESTO VA NEI COMMENTI.

Anonimo ha detto...

Marco Ciriello è stato costretto a dire di sé: Sono nato nel giorno dell’uccisione di Sacco e Vanzetti e non lo dimentico, ma anche nello stesso giorno di Edgar Lee Masters e Chopin, per questo volevo suonare il piano ma hanno sparato al mio maestro e allora ho ripiegato sull’altra coincidenza.
In più: è nato nel 1975, scrive per la tv satellitare, il teatro e «Il Mattino» di Napoli

Anonimo ha detto...

Cari Amici, caro franco, caro marco, e cari viaggiatori. Sull'onda dei versi montaliani che esprimono il disagio e l'amarezza di non poter dare risposta alle cose se non difensiva (codesto solo possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo), mi inserisco in questo dibattito sul viaggio che potremmo però aprire meglio se ci decidiamo a mandare in prima pagina un argomento per volta. Per dire, per ora, soltanto questo (e mi scuso per l'evidente approssimazione ed estremizzazione dell'argomento). Il viaggio, come l'abbiamo conosciuto, non esiste più. Perchè non esistono più il tempo e la storia, cioè non esiste più il futuro. Sia il viaggio impressionistico (guardare, descrivere, limitarsi nei commenti) che quello più "politico" (guardare, commmentare, sintetizzare) hanno fatto il loro tempo. Per questo non hanno tutti i torti quelli che si rompono le palle del giornalismo e della letteratura da viaggio. Non per colpa di chi scrive (un pò sì, ovviamente, perchè bisogna essere intelligenti e prevenire i tempi sempre), ma semplicemente per colpa dell'ingolfamento della storia che si trascina dietro tutte le nostre parole e le rende vecchie, spompate, noiose anche quando la scrittura è rispettabile e "bella".
Se non avviene una "rottura", simile alle rivolte generazionali o alle rivoluzioni, è difficile che le parole possano di nuovo avere un senso. Tutto questo è molto tragico, d'accordo. Ma questa è, secondo me, la situazione. Come fare per ridare alle parole il loro valore e la loro storicità? Come fare per ridare al viaggio la sua funzione di conoscenza e quindi di racconto "reale", cioè "nuovo"?
Avrei forse qualcosa da dire, ma per ora, in attesa del dibattito "ordinato", mi limito all'assunto montaliano.
Con affetto, Michele Fumagallo