6 gennaio 2008

viaggio e poesia

INVITO AL VIAGGIO

di Domenico Cipriano

Ti invito al viaggio

in quel paese che ti somiglia tanto

(Franco Battiato)

Osservate il movimento del treno

nel viaggio rende tutto rettilineo

annulla le case, i tralicci,

l’erba e gli alberi divengono

un colore maculato, le onde

la linea del coma profondo.

Il pensiero si distanzia

segue la retta ininterrotta

ogni geometria si dissolve

abbandona visibili rotondità:

le sfere solide della realtà.

Quindi potremmo dire che in viaggio è come se l’anima si staccasse dal corpo abbandonando le forme della geometria solida e acquistando una dimensione propria. Questo è anche la poesia: un viaggio incondizionato, il passaggio tra due tappe, il punto di sutura tra due nuclei vivaci d’osservazione: uno dinamico, l’altro di riflessione.

Leggevo su un numero di Donna, il settimanale de La Repubblica che studi recenti sostengono che il pensiero dell’uomo e della donna si sviluppano in modo diverso: precisamente il pensiero maschile in modo rettilineo a differenza di quello femminile che è circolare.

Riportandoci alle osservazioni sul viaggio, della poesia in apertura, e prendendo spunto da questa teoria, si può constatare che la circolarità delle cose appartiene all’aria respirata nelle tappe dell’itinerario prefissato o improvvisato che ne rappresenta il moto rettilineo.

Da questa riflessione vorrei far notare quanto il pensiero come il viaggio (o viaggio/poesia) hanno bisogno di due momenti distinti nella forma, ma unitari nella sostanza per ritrovarsi nell’individualità delle due parti inscindibili dell’essere umano: maschio e femmina.

Il percorso comporta fermate, momenti circolari, periodi di azioni svolte prima di ripartire. Situazioni in cui il corpo s’interpone alla luce e forma l’ombra, passaggio colmo di odori, sapori, colori: incontri più tenaci della fase di movimento, ma accomunati dalla precarietà dell’ombra.

Quindi dove cercare poesia? Essa vive nell’ombra del viaggio: è il bisbiglio chiuso nell’attimo raccolto nella foto scattata; rappresenta l’incredulo momento del risveglio dall’ipnotico, breve tragitto nel mondo. In queste tappe anche brevi nasce il confronto con gli altri, osservandone la diversità: la luminosità o la tristezza che nasce dai loro occhi, per cogliere una luce che serva a proiettare nuove conoscenze. In tal modo modifichiamo le nostre regole prefissate, acquisite nei luoghi d’origine, che risentono a volta della mancanza di confronto, mentre altre volte si rafforzano, facendoci comprendere come alcuni comportamenti semplici e radicati, siano indispensabili alla nostra esistenza e siano anche più coerenti rispetto alle nuove realtà che si aprono davanti a noi.

È attraverso l’incontro con diversi usi, esperienze, costumi, che comprendiamo quanto in noi può o deve essere modificato perché fonte di assurdi pregiudizi e quanto dentro di noi va rafforzato perché reale, sincero e stabile, come una pianta salda alle radici che cresce sul terreno fertile. Così chiediamo al viaggio di cambiarci e farci diventare migliori, perché in giro per il mondo portiamo noi stessi, con le nostre paure e le nostre sicurezze e la poesia ci spiega i percorsi, non come una macchina fotografica che raccoglie immagini per un depliant turistico, ma come una cartina dell’anima dove con un pennarello tracciamo le nostre sensazioni/sentieri per partire e ritornare attraverso l’itinerario offerto dalla nostra vita.

Tutto questo ci è donato dall’esperienza che, secondo Walter Benjamin, parte da un condizionale, il dubbio rispetto al senso comune. E vediamo come “l’esperienza ha qualcosa del viaggio, il suo movimento è complesso: essa muove dal senso comune, ne nega l’immediatezza e nomina nuovamente le cose” (Paolo Jedrowski), proprio come fa la poesia:

Col viaggio mi fingo ombra

per segnare passaggi nel tempo

senza traccia neppure accennata,

essenza visibile nell’istante, dubbio

di essere apparso, o essere un falso.

Ma possiamo anche vedere un’altra comunanza tra il viaggio e la poesia, prendendo spunto dalle esperienze della Beat Generation e la loro esigenza di spostarsi in giro da una costa all’altra degli Stati Uniti per calmare il loro “malessere interiore”; un malessere che aveva bisogno anche della scrittura, della poesia, per essere rasserenato. “Neal incarna la necessità universale di andare, di spostarsi; senza dubbio, non è un esploratore, non cerca di conquistare nuove frontiere, come qualcuno ha voluto leggere. [...] semplicemente hanno dentro un dolore che li calma con il movimento” scrive Emanuele Bevilacqua. Allo stesso modo racconta Donatella Bisutti: “Conosco poeti famosi che, se si svegliano di notte in preda a un incubo e non riescono a riaddormentarsi, cercano di liberarsi scrivendo una poesia [...]. E se avessero preso un tranquillante? [...] Una volta o l’altra l’incubo sarebbe tornato”. Questi due elementi, quindi, viaggio e poesia nascono da uno stesso bisogno, la ricerca e la liberazione di un incubo, l’incubo primordiale che cerchiamo di affrontare per imparare a parlargli.

Ho conosciuto anni addietro un ragazzo che raccontava la sua storia di viaggiatore e la sua passione per la scrittura poetica. Viaggiava il mondo per convivere con una forma depressiva che gli dava momenti di euforia e momenti di totale immobilità, creandogli un vero e proprio sdoppiamento della personalità. L’unico dottore che gli aveva saputo dare una ragione di speranza lo aveva esortato nel viaggio, a cercare nello spostamento la ricerca della sua interiorità. Si era incamminato in questa avventura con ardua decisione, sapendo, nei suoi momenti di lucidità, che si sarebbe trovato in successive situazioni di abbandono, ma da cui, esortato dalla voglia di fare, ne sarebbe uscito di volta in volta. In un suo viaggio era andato ad incontrare Madre Teresa di Calcutta, un esempio di umanità che raccontava con estrema devozione, ma tanti altri erano stati gli incontri positivi ed i posti che entravano nella sua vita e nella sua poesia. In tal modo provava a calmare la sua febbrile convivenza con la vita, scavando pian piano dentro il suo mondo, conoscendo e comprendendo sempre meglio come difendersi da se stesso, attraverso l’incontro con gli altri, le altre civiltà, le altre esperienze.

Certo quello appena raccontato è un caso molto particolare, ma vuole far riflettere: nel nostro piccolo, infatti, ognuno ha il suo mondo di paure ancestrali e di difficoltà nel comprendere la strada più giusta per la propria esistenza, ha le sue smanie di vita e le sue indecisioni. Soprattutto l’artista sente forte il bisogno di scontro con la civiltà che lo contiene, e sente nascere da dentro un bisogno che non riesce a soddisfare con le cose che esistono intorno a se; così cerca di crearsene nuove o le cerca in un mondo distante sapendo che, mettendo insieme tanti elementi eterogenei, potrà trovare ciò che lo accontenterà per un pallido istante prima di ripartire col viaggio, con la poesia. Dopo tutto il viaggio è fonte continua di ispirazione e per molti scrittori è esso stesso l’immaginazione, la letteratura: “Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza.”, come spiega Louis-Ferdinand Céline.

Quindi con le stesse dita che scavano per cercare dentro di noi, dobbiamo cercare di scavare altrove, così vedremo che i semi trovati nascosti sotto la nostra terra possono convivere con semi di altra terra, ma sempre accarezzata dallo stesso vento prima di dare nuovi frutti. Questo è anche il motivo perché il poeta si libera nella ricerca di se stesso e del mondo che lo circonda, confrontandosi con le varie realtà e con le loro ombre, nella consapevolezza che:

Solo il viaggio

mi rende vivo,

libero dai dogmi ancestrali

che mi appartengono:

figlio di terra e vento!

Note: le poesie riportate sono dell’autore.

L’articolo è già apparso in differenti versioni su:

1. LE VOCI DELLA LUNA n. 26/27, dicembre 2003

2. MUSICAOS n. 24, numero speciale “La cattiva strada”, gennaio 2007.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro Cipriano ricordi questa vecchia canzone di Guccini........

"I nostri miti morti ormai, la scoperta di Hemingway,
il sentirsi nuovi, le cose sognate e ora viste:
la mia America e la sua diventate nella via la nostra città tanto triste...

Carte e vento volan via nella stazione, freddo e luci accesi forse per noi lì
ed infine, in breve, la sua situazione uguale quasi a tanti nostri films:
come in un libro scritto male, lui s' era ucciso per Natale,
ma il triste racconto sembrava assorbito dal buio:
povera amica che narravi dieci anni in poche frasi ed io i miei in un solo saluto...

E pensavo dondolato dal vagone "cara amica il tempo prende il tempo dà...
noi corriamo sempre in una direzione, ma qual sia e che senso abbia chi lo sa...
restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento,
le luci nel buio di case intraviste da un treno:
siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno..."