28 settembre 2007

tre persone sono già un buon numero

domani su ottopagine esce anche questo testo e poi domenica ci sarà una cosa molta interessante. bisogna meritarsi l'aiuto che riceviamo. La giornata dei paesi
Si parla molto di politica. Se ne parla tanto perché se ne fa poca. Si parla molto di politici onesti e disonesti. Io credo che dalle nostre parti i politici disonesti siano molto pochi. Direi che il peccato più grave è la mancanza di idee. Mi pare che ci si ostini a dare risposte vecchie a problemi nuovi.
L’idea di una giornata dei paesi nasce da qui, dal tentativo di far filtrare dal basso qualche idea, di farla arrivare ai luoghi dove si prendono le decisioni. È dunque una proposta di riattivazione della politica in una terra che ha sempre avuto una certa propensione per questa nobile attività umana (siamo la terra di De Sanctis e Dorso). L’idea di una giornata dei paesi nasce dal fatto che nonostante tutto questi paesi ancora ci sono. Nonostante la stretta anginosa prodotta da più di un secolo di emigrazione, sono abitati da tante persone (fate un salto in Molise per capire che lì veramente non c’è nessuno). Nonostante i guasti del passaggio dalla civiltà contadina alla modernità incivile (guasti che riguardano tutta la penisola), i nostri paesi conservano tracce di un’antica bellezza. La giornata del 28 ottobre significa fare delle assemblee lontano dalle elezioni. Sappiamo che sotto le elezioni in ogni paese c’è tutto un fiorire di iniziative. Sembra che ci siano tante persone che si vogliano occupare di politica. Passate le elezioni rimangono pochissime persone a occuparsi attivamente dello spazio pubblico e molto spesso sono sempre le stesse. La mia idea è molto semplice: la crisi della politica si risolve facendo politica. E per questo ogni cittadino è chiamato a fare la sua parte. Ovviamente non posso rivolgermi a una vedova novantenne o a un ragazzo di tredici anni. In ogni paese esiste una fascia di persone che sono in condizione di occuparsi delle faccende collettive. Saranno dieci a Cairano e mille a Lioni, ma da nessuna parte si può dire che la spina è staccata. Nella corsia d’ospedale che sono i nostri paesi, non tutti hanno la stessa malattia e non si può immaginare la stessa cura e non sono più sopportabili le formulette generiche che ci propinano. Qui viene fuori una dicotomia della politica spesso trascurata. Credo che la discussione di questi giorni su politica e antipolitica possa essere anche letta in termini diversi. Io parlerei di telepolitica e biopolitica. La prima è quella che guarda i problemi da lontano. In questa categoria si può inserire tutta la cosiddetta casta, ma senza dimenticare i grandi banchieri, le eminenze ecclesiastiche, gli industriali e tutti quelli che hanno grandi risorse finanziarie. I nostri paesi hanno poco da attendersi da questa gente. Il progetto di legge a sostegno delle piccole comunità è vergognosamente fermo in Parlamento. Era prevista una spesa di pochi milioni di euro e non si riesce a trovarli. Non pensate che possa essere la Confindustria a stimolare il governo a fare una cosa del genere. Agnelli negli anni cinquanta agì sul governo per far cadere i prezzi dei prodotti della pastorizia: era un modo incruento per incentivare la “deportazione” dai campi alla catena di montaggio. La memoria non è una facoltà molto esercitata, ma quando si parla di buona politica del passato rispetto a quella brutta di oggi, dovremmo anche ricordarci che un governo postfascista mandò nelle miniere del Belgio la nostra gente in cambio di trecento chili di carbone. Ecco, vorrei che nei nostri paesi ci fosse un sussulto, un brivido civile che scuota la polvere della rassegnazione e del disincanto e ci renda consapevoli che siamo un grande popolo e non abbiamo niente da invidiare a nessuno. Oggi parlavo a proposito di un incontro che ho organizzato sul centro storico di Bisaccia. Una persona di sinistra mi diceva che non verrà all’incontro perché l’argomento gli sembrava limitato. Perché, diceva, il problema è un altro. Ecco, appena in un’assemblea qualcuno si alza e dice che il problema è un altro, bisogna alzarsi e dichiararsi d’accordo. Si. Il problema è un altro, perché il problema sei tu. Non c’è più tempo per andare dietro ai demoralizzatori e ai cantori dell’impotenza. Non possiamo anche se parliamo di una panchina sempre riferirci al sistema di potere democristiano, tipico vizio di certi estremisti di sinistra che ora sono estremisti del disincanto. So bene che molti non se la sentono di organizzare assemblee pubbliche proprio per il timore di vedere un film già visto. In queste occasioni quelli che amano dividere o spargere rancore hanno sempre gioco facile. Ed è anche chiaro che il problema magari non è la disoccupazione, ma chi ha organizzato il convegno sul tema. D’altra parte neanche bisogna pensare che basti evocare un problema per risolvere. Se fosse così con tutti i convegni che abbiamo fatto sul turismo a quest’ora dovremmo essere come Venezia.
La giornata del 28 ottobre non è un evento mediatico. L’assemblea a Flumeri o a Pietrastornina non arriverà a Ballarò e forse neppure alle tv locali. Non bisogna accodarsi alla politica come fiction e bisogna dare fiducia ai politici che guardano i problemi da vicino, facendo quella che chiamo biopolitica. Ripeto, non è necessario essere in tanti. Siccome non è in programma la rivolta anticapitalista, tre persone sono già un buon numero, sono già in più rispetto al pubblico medio dei consigli comunali. Questa giornata non ha amici e nemici precostituiti. Un sindaco può essere bersaglio di civile contestazione, ma può essere esso stesso il lievito della manifestazione. Mi pare che il senso è chiaro e comunque non spetta a me definirlo. Il senso di questa manifestazione dipende da quello che ognuno vorrà fare. Non si cambieranno in un mese i connotati di un luogo, ma qualcuno si sentirà meglio e meno solo e si accorgerà pure che bisogna fare i conti con quella strana cosa che si chiama futuro.

pancho pardi scrive a franco

è proprio così. L'accidia non è solo lì da te. C'è anche da noi e il guaio è che si insinua nelle nostre file nel momento in cui ci sarebbe bisogno della massima mobilitazione. Ora è questa la battaglia difficile. Gli stanchi non sono privi di giustificazione: non si era mai visto un ciclo di protagonismo civile così intenso e prolungato. Ma è curioso come i soggetti attivi possano sottovalutare la natura sostanziale dei successi colti dai movimenti e si facciano deprimere dal senso di impotenza proprio nel momento in cui dovrebbero avere cognizione di quanto sia decisivo il loro agire. Temo sia un dilemma classico: volontà e destino. Tucidide e Plutarco ne hanno detto qualcosa. Ciao, pancho

plastica / luigi risponde a franco

per franco. ti farò avere la registrazione dell'"interventino" l'altra sera a lioni. Mi dispiace che eri distratto ma tutta la mia analisi si è sviluppata sulla politica che non da risposte e sulla necessità di leggere con realismo i mutamenti della società. Ho ben chiara la realtà delle cose perchè da qualche anno (con scarsi risultati) cerco di dare un contributo alla mia terra. ho molti limiti come politico ma non corro certo il rischio di diventare un predicatore senza opere di bene! possiamo parlarne in una prossima occasione. grazie anticipato per le invettive che cortesemente mi giungeranno :-) per essere un uomo politico ho molto senso dell'ironia e saranno molto gradite. luigi