9 dicembre 2007

Giuseppe

Franco scrive della morte di Giuseppe, l'operaio precipitato da un'impalcatura a Bisaccia, e fa bene a continuare a commentare puntualmente gli avvenimenti che accadono nei nostri paesi, sia questo che altri meno luttuosi. / A me, sinceramente, piacerebbe di più, in questo periodo storico di trapasso, che ci fosse, anche per lutti così insopportabili, un silenzio assoluto, anche a costo di essere presi per cinici. / Sì, certo, è insopportabile l'indifferenza da cui siamo circondati ogni giorno, per cui verrebbe davvero la voglia di urlare, anzi di più, ululare come facevano i lupi una volta: signori, Giuseppe muore! Ma a che servirebbe? / Viviamo in una società dove uno dei pilastri della nostra vita, cioè il lavoro (l'altro è l'amore, tema non a caso ritornato ad essere tabù), e parlo soprattutto del lavoro "vivo" degli operai, è svalorizzato come mai è accaduto nella nostra storia. / E allora che fare, in presenza della morte tragica di un uomo? / Vorrei rispondere: pregare, se la parola non fosse stata manipolata da tempo da una "razza di vipere" di evangelica memoria, svalorizzata nel suo significato più autentico di ricerca di aiuto a Dio affinché mandi gli "operai" a risollevare le sorti di un popolo smarrito, oppresso dai vampiri ma anche dai suoi stessi errori. / Resta, per ora, il dolore per questa tragedia, per quelle passate e per quelle che verranno. / Guai a noi se non facessimo fruttare questo dolore, se esso non servisse a cambiare, a diventare umili, a riprendere un cammino a fianco innanzitutto della parte dipendente e sommersa della nostra società". Con affetto, Michele Fumagallo

sicurezza sul lavoro a metà prezzo

Nella nostra regione si continuano ad appaltare opere di edilizia pubblica sulla scorta di prezziari vecchi di 10 anni; nonostante i prezzi non aggiornati le imprese offrono ribassi del 30%. Si lavora cioè a metà prezzo.
Per procedere nell’appalto si devono fare economie in ogni parte dell’opera; la prima economia che si fa in un cantiere è risparmiare sulle misure di sicurezza.
La seconda è utilizzare manodopera sfornita di assicurazioni e contratti.
La terza è utilizzare materiali di scarsa qualità.
La quarta è interrompere i lavori e fare causa all’ente (90% di probabilità di vincere la causa, a 10 anni di distanza).
Viviamo uno stato e un’economia che non crede nell’importanza delle opere pubbliche tantomeno dell’architettura civile.
Si fanno annunci e propaganda sulle opere finanziate e appaltate, non si parla mai di opere ultimate nei tempi previsti e realizzate con qualità.
Diverse regioni italiane hanno varato leggi che impediscono di appaltare opere pubbliche con il massimo ribasso; diverse sentenze hanno stabilito che non si possono utilizzare prezziari non aggiornati. La nostra regione non si adegua perchè i ribassi provenienti dalle opere pubbliche servono per coprire i buchi della sanità e del piano rifiuti.
Nella nostra regione si stanno realizzando in questo periodo migliaia di alloggi residenziali pubblici (ovvero edilizia economica e popolare nell’ambito del programma “eliminazione dei prefabbricati del sisma 1980”) con un costo medio –netto- di 350 euro al metro quadrato; un’abitazione di 90 mq. la si vorrebbe realizzare con 31.500 euro circa.
In questa cifra sono compresi: sicurezza, ponteggi, scavi, trasporti, strutture in cemento armato, impianti, muri, intonaci, pavimenti, infissi, ecc..
Con la stessa cifra a Milano si realizza un metro quadrato di pavimento in legno o di balaustra in vetro; negli altri paesi della Comunità Europea con la stessa cifra si fanno forse massetti e coibenti sotto i pavimenti per contenere le dispersioni energetiche ...
La morte sui luoghi di lavoro si eliminerà se il processo edilizio troverà un suo giusto riconoscimento ed equiibrio, se politica e amministratori riconosceranno il giusto valore alle opere pubbliche di importanza sociale.
Le leggi vigenti che obbligano all’utilizzo e al controllo del casco in cantiere sono solo un palliativo per tenere la coscienza a posto; un vano esercizio per far finta di essere in una società civile. a.v.

Il Giorno di Giuseppe

Alle otto del mattino sono all’edicola. Uno dice che poco fa è passata un’ambulanza. Chissà chi è andato a prendere, risponde un altro. La discussione mattutina vira naturalmente su altri argomenti. Vado a scuola anche se non sono in servizio. Ho l’idea di fare un grande presepe a forma di cuore. All’ora della ricreazione una maestra dice che è morto Giuseppe il manovale. Ecco chi era andato a prendere l’ambulanza! Verso mezzogiorno esco da scuola. Il presepe a forma di cuore si può fare, ma mi manca il materiale e se ne riparlerà la settimana prossima. Torno all’edicola. L’edicolante sta già mettendo a posto i giornali invenduti, il pomeriggio non apre perché non c’è nessuno. In verità non c’è nessuno anche adesso.
Vado a vedere il posto dove è morto Giuseppe. Anche qui non c’è anima viva. Unica traccia dell’accaduto: una piccola goccia di sangue. Arrivano due carabinieri che fanno alcune domande a un collega di Giuseppe. Immagino che sia l’inizio di un’istruttoria giudiziaria per la quale non provo interesse. Il corpo senza vita di Giuseppe è all’ospedale. Quando è arrivato in ambulanza hanno deciso di chiamare l’elicottero per portarlo altrove, ma si è trattato di un decollo breve. L’ospedale di Bisaccia non è attrezzato per far fronte ad alcuna emergenza. È un ospedale che non si occupa di noi, ma siamo noi a doverci occupare della sua sopravvivenza. Quando dico noi penso alle poche persone che ancora si occupano delle cose collettive, delle poche persone che non si sono rassegnate. Tornando a casa mi torna alla mente la telefonata che in mattinata mi ha fatto il mio amico Andrea Di Consoli, scrittore lucano che vive a Roma. Con lui parlavamo della necessità di non abbandonare le tipiche problematiche meridionaliste. Gli ho parlato di Giuseppe, ennesima vittima di un sud che da sempre è falciato dal lutto. Il sud dei poveracci chiamati a fare la guerra per difendere una patria di cui non sapevano nulla. Le guerre di ieri e quelle di oggi. Il sud dei morti nelle miniere. Il sud di chi è partito senza più tornare. Anche per questo Giuseppe oggi è morto in un paese che sembra morto. Un paese bellissimo che è diventato il museo delle porte chiuse. Giuseppe lavorava proprio in una casa del centro antico e nessuno si è accorto del suo tonfo. Trent’anni fa quando accadeva qualcosa subito si spandeva nell’aria la polverina dello sgomento e la respiravi per molti giorni. Qualche anno fa mi è capitato di scrivere un articolo su un mio vicino di casa morto nella stessa maniera. Da allora di lui non ho mai sentito parlare. Sarà così anche con Giuseppe. Non aveva figli, non aveva una moglie e forse non aveva neppure amici. Tifava per la Juve e questa pareva l’unica forma di partecipazione alla vita degli altri. Il resto era la solita vita di calce e mattoni. Tutti i giorni, tutto l’anno, senza mai prendersi una pausa, una vacanza. Si alzava prestissimo. Non aveva molti buoni motivi per stare in casa. L’ho incontrato spesso alle cinque del mattino quando uscivo per filmare il paese alla luce dell’alba. Aveva la mia stessa età e non mi chiamava mai per nome: mi chiamava “parente” per via di una parentela su cui non mi sono mai informato. Ci occupiamo di tante cose, ma ci sono persone che proprio non ce la fanno ad attirare l’attenzione degli altri. E forse neppure la cercano. La giustizia che mi interessa non è quella dei tribunali. È la giustizia di dare valore a tutto quello che ci circonda, agli esseri e alle cose.

Da quei tetti non è caduta un tegola, ma un cuore.

Chi sarà il prossimo...

Siamo ancora in autunno, ma qui in Irpinia è già arrivato l’inverno freddo e ventoso: e con esso anche la morte (do you remenber Bisaccia?). ___ sembra che la nottata non debba passare mai come diceva il grande Edoardo, ma cambieranno le cose? Che fare ?
Povera Patria
Schiacciata dagli abusi del potere / Di gente infame che non sa cos’è il pudore /Si credono potenti e gli va bene / Quello che accade e tutto gli appartiene /Tra i governanti / Quanti perfetti e inutili buffoni / Questo paese è devastato dal dolore / Ma non vi danno un po’ di dispiacere / Quei corpi in terra senza più calore / Non cambierà non cambierà / Non cambierà forse cambierà / Ma come scusare / Le iene degli stadi e quelle dei giornali / Nel fango affonda lo stivale dei maiali /Me ne vergogno un poco e mi fa male / Vedere un uomo come un animale /Non cambierà non cambierà / Sì che cambierà vedrai che cambierà / Si può sperare che il mondo torni a quote più normali / Che possa contemplare il cielo e i fiori / Che non si parli più di dittature / Se avremo un po’ da vivere / La primavera intanto tarda ad arrivare” __ Franco Battiato
Che fare? Per far sì che nessuno continui a morire per lavoro? Che fare?