9 dicembre 2007

Giuseppe

Franco scrive della morte di Giuseppe, l'operaio precipitato da un'impalcatura a Bisaccia, e fa bene a continuare a commentare puntualmente gli avvenimenti che accadono nei nostri paesi, sia questo che altri meno luttuosi. / A me, sinceramente, piacerebbe di più, in questo periodo storico di trapasso, che ci fosse, anche per lutti così insopportabili, un silenzio assoluto, anche a costo di essere presi per cinici. / Sì, certo, è insopportabile l'indifferenza da cui siamo circondati ogni giorno, per cui verrebbe davvero la voglia di urlare, anzi di più, ululare come facevano i lupi una volta: signori, Giuseppe muore! Ma a che servirebbe? / Viviamo in una società dove uno dei pilastri della nostra vita, cioè il lavoro (l'altro è l'amore, tema non a caso ritornato ad essere tabù), e parlo soprattutto del lavoro "vivo" degli operai, è svalorizzato come mai è accaduto nella nostra storia. / E allora che fare, in presenza della morte tragica di un uomo? / Vorrei rispondere: pregare, se la parola non fosse stata manipolata da tempo da una "razza di vipere" di evangelica memoria, svalorizzata nel suo significato più autentico di ricerca di aiuto a Dio affinché mandi gli "operai" a risollevare le sorti di un popolo smarrito, oppresso dai vampiri ma anche dai suoi stessi errori. / Resta, per ora, il dolore per questa tragedia, per quelle passate e per quelle che verranno. / Guai a noi se non facessimo fruttare questo dolore, se esso non servisse a cambiare, a diventare umili, a riprendere un cammino a fianco innanzitutto della parte dipendente e sommersa della nostra società". Con affetto, Michele Fumagallo

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