22 novembre 2007

TERREMOTO / franco arminio

Dalle mie parti siamo tutti esperti di terremoto, almeno quelli che quando venne la scossa erano adulti: ventitré novembre 1980, le sette e mezza della sera, la terra fa tremare tutto l'Appennino meridionale, l'epicentro è tra le province di Avellino, Salerno e Potenza, una decina di paesi completamente distrutti (Conza, Laviano, San Mango, Sant'Angelo dei Lombardi, Lioni, solo per ricordarne alcuni) altre centinaia danneggiati più o meno gravemente, tremila persone morte, schiacciate dal peso delle case rotte, adesso penso al fatto che non tutte sono morte subito, c'è chi sarà rimasto in agonia per qualche ora, chi avrà sentito i soccorritori che stavano per raggiungerlo e non ce l'hanno fatta a prendergli le mani, il terremoto dal punto di vista dei morti è una cosa fatta di travi sulla pancia, di buio, di gambe rotte, è un trovarsi nella spina della vita all'improvviso, sei con la bocca davanti alla maniglia della tua stanza, guardi un televisore spento, stavi vedendo la partita, tua moglie era in cucina che preparava la cena, giocavano la Iuventus e l'Inter, ma non sai com'è andata a finire, sai che sta finendo la tua vita e ti fa rabbia che continua quella degli altri, ombre che staranno lì a spartirsi questo curioso bottino che è il tempo che passa, tu sei stato appena riportato tra loro, non puoi sapere che stanno polemizzando sui soccorsi che non sono arrivati, è arrivato il presidente della Repubblica e ha fatto una scenata alla classe politica, quella che ignorava che il cemento della tua casa era disarmato, quella che non si è preoccupata che la casa in cui è morta tua madre era fatiscente nonostante tu vivessi nel mondo che si dice progredito, il mondo che anche nel tuo paese aveva voltato le spalle alla civiltà contadina per sistemarsi nella modernità incivile, è in nome di questa modernità che cominciarono a ricostruire la tua casa e quella degli altri, pensarono perfino che non bastavano le case, ci volevano anche le industrie, ora molte di quelle case sono chiuse come la tua cassa da morto e lo stesso è avvenuto per quelle industrie, non sai che questo fatto a un certo punto è stato utilizzato per combattere quelli che comandavano in queste zone, non sai che le persone del nord Italia che vennero qui ad aiutare furono assai deluse dal sapere di tanti sprechi (si parla di una spesa di sessantamila miliardi di lire, ma i conteggi cambiano a seconda di chi li fa) e diedero credito a un partito che nasceva per dire basta con questa storia del sud, il problema siamo noi, i soldi che facciamo col nostro lavoro non ce li deve togliere nessuno, e infatti nessuno glieli ha tolti, come nessun scandalo a noi ci ha tolto quelli che comandavano e che comandano ancora e che adesso fanno coi fondi europei quello che fecero col terremoto, pure questa è una faccenda scandalosa, ma per ora non fa notizia, manca il detonatore della tragedia, intanto pure l'ingegnere che ha costruito la tua casa caduta non è andato in galera e neppure chi l'ha ricostruita in maniera piuttosto orrenda, il terremoto per te è finito con la fine della scossa, ma per gli altri è continuato molti anni ed è stato una corsa a fare soldi, in questa corsa non c'era tempo per pensare alla bellezza dei paesi, il problema era solo allargali, allungarli e l'opera è stata compiuta con genio e vi hanno partecipato un poco tutti, dal parlamentare che ha fatto la legge per cui si potevano aggiustare anche case che non si erano rotte, all'architetto che ha disegnato con la matita della venalità, al cittadino che si è messo in fila ad attendere quello che gli spettava e se possibile anche qualcosa di più, ora tutti si lamentano, tutti a dire che si stava meglio prima del terremoto, tutti a rimpiangere un tempo in cui si era più uniti e più buoni, a me pare di averla vista questa bontà e questa unione solo fino a quando è durata la paura, fino a quando la gente ha dormito nelle macchine, fino a quando abbiamo cercato di salvarti, poi è andata un po' come ti ho detto.

27 anni fa

QUELLA DOMENICA DI VENTI SETTE ANNI "DI QUEL "23 NOVEMBRE 1980"
Una data che nessuno mai dimenticherà, la terrà alle 19.36 tremò per interminabili 90 secondi, nono grado della scala mercalli.
Aiuto fratello qui ci manca di tutto la terra ha tremato la casa ha distrutto.
L'Irpinia e la Basilicata fu devastata, il dolore e la paura mi è rimasta dentro, ricordo quella pagina del Mattino con la scritta "fate presto"! Il terremoto del 23 novembre 1980 ha sconvolto e cambiato il volto della Campania, in Irpinia le cifre si commentano da sole: morti 2998, feriti 8245, i senzatetto 234,960. Sul terremoto dell'Irpinia si è parlato, argomenti poveri e di poca credibilità, tanti altri montati ad arte. Se attraversiamo oggi l'Irpinia del Cratere, troviamo ancora le tracce e ferite di quella terribile Domenica. Mi guardo dentro, la paura, l'ansia mi assale nel ricordare quelle notizie non stop alla Tv. Cerco di gestire il dolore, l'emozione e lo sfogo dell'anima è il pianto. Si dice che tutto passa, il tempo e fa dimenticare, sono trascorsi venti sette anni, ma sembrano soltanto venti sette giorni. Tutto si commenta da solo, il verde è sempre più verde di una Irpinia sempre più bella. Con cordialità Michele Bortone

Venti tre novembre 1980
Quel tragico venti tre novembre
correndo e scherzando per le strade,
una bella giornata di festa
avvolta dentro un tiepido sole.
Pensavo fra un mese è Natale
e quanti ricordi di amici e miei cari lontani,
vola il mio pensiero tra loro
rincorrendosi con la luce, il mio cuore palpita e mi dice,
questo giorno non finisce mai.
Vai speranza corri anche tu tra loro
non chiudere mai il tramonto,
e non fermarti a guardare,
fai che la notte non insegua più il giorno
e fermi il vento che mi porta il pianto,
e le grida di aiuto di quella povera gente.

comunità ( eduardo )

la comunità provvisoria è vicina ad Eduardo e lo abbraccia in questo momento di dolore e di speranza

Casa-Madre / eduardo alamaro

“La casa e l’albero”. E’ il sottotitolo di un vecchio libro del non dimenticato professor Roberto Pane che ha come tema l’ambiente naturale e costruito della Campania. Edito da Montanino Editore-Napoli, in occasione di «Italia ’61 », documentò magistralmente, attraverso ottime foto dell’autore, introdotte da poche ed efficaci schede tematiche, “singolari aspetti dell’edilizia popolare ed agricola campana”. L’architettura quindi, “non era presentata nei suoi aspetti monumentali, ma in quelli più propriamente corali”. Quando lo scoprii, amai quel libro, oggi raro (in molti sensi). Vi trovai molta poesia e verità “antica”. L’addio ad un mondo “normale”, niente performance. Solo Pane e lavoro. Sfogliarlo oggi è addirittura struggente, per chi conosce ed ama quei “nostri” delicatissimi luoghi, oggi spesso irriconoscibili. E perciò son diventati miei luoghi della memoria, nutrimento, arte, poesia, ironia, sberleffo…. insomma «‘a casciaforte», come da titolo della famosa canzone.
Mi è venuto in mente prepotentemente questo libro, anzi il titolo di questo libro, “la casa e l’albero”, in questi giorni, dolorosi per me e la mia casa “antica”: la mia anziana e nobile madre siciliana, appartenente ad una Sicilia profonda e misteriosa, si va spegnendo lentamente, inesorabilmente, come una candela. Quel titolo “amico” del libro del professor Pane mi ha fatto perciò molta compagnia. Insieme alle sue struggenti immagini b/n, quelle che lo rendono documento di un mondo che fu. Mi sono passate nella mente quelle case, quelle chiesette, quei volti paesani e faticati, …. quelle architetture semplici e corali, "normali", santi quotidiani. Sono scese una ad una, lentamente, quelle immagini, come le mie silenziose lacrime sul foglio. Come le gocce di sangue che dalla bottiglietta montata sul trespolo dell'ospedale vanno ad irrorare un “monumento” antico, mia madre, che non vuol cedere. Una lotta disperata, quella tra quella “mia” antica Casa-Madre e la ruspa della Morte … il sangue della trasfusione, come iniezioni di cemento nelle vecchie mura, tentano di trattenerla in vita, ancora per un giorno, per due, una settimana, chissà? Erano case forti, casceforti ben costruite, quelle d’ante-guerra, tradizionali ma robuste e adatte all'uso… ma dalli e dalli, a colpi di ruspa, saranno tutte demolite, rottamate. Ora sembra il turno di mia madre …..
Stamani il medico mi ha detto: "E' una donna d'acciaio, … la pressione e il cuore reggono,… è aggrappata con le unghia e con i denti alla vita, alla Terra, perciò resiste. E’ 'nu lione!!” Scusate, sto piangendo, mi faccio forza, proseguo. La vita continua, lo so. Si faranno altre case, altre madri partoriranno, altri alberi si pianteranno, altri figli nasceranno. Altri libri d’amore si scriveranno, spero. Ma questo “mio” b/n è chiuso. Stop, rivado in ospedale. Chissà se ha resistito la mia “casarella”?, la mia Casa-Madre?
Oggi a Napoli è una bellissima giornata, meravigliosa. C’è il sole che scalda, che mi asciuga le lacrime. E come si dice qui: “Quanno jesce ‘na jurnata ‘e sole pigliatella, pecchè chella malamente sta arreta ‘a porta!” E perciò, uscito stamani dal “Fatebenefratelli” di via Manzoni a Posillipo, ho fatto il "giro largo" per andare alla Stella. Me ne sono andato in macchina per via Caracciolo, via Partenope, … ho rivisto la città, l’arco del golfo, la sagoma-madre del Vesuvio, il Sole, … piangevo, … ma ho anche respirato: v’immaginate se ci fosse stato anche il freddo ed il nebbione del Nord? Non sarebbe stato peggio? Saluti, scusate questo intermezzo triste, ma anche di speranza, ... non ho voluto “mancare”, nonostante tutto, Eduardo Alamaro