Carissimi, le emozioni producono frutti. La giornata di ieri a Cairano mi ha ispirato questo raccontino: ve lo regalo, in cambio dei doni che avete fatto a me ieri. Carla
Parla il daimon
Dormivo. Dormivo così profondamente e da così tanto tempo, ormai, che neanche i sibili più feroci del vento bastavano a interrompere i miei sogni. E a che scopo, poi. Solo nelle visioni che il misericordioso Hypnos si ostinava a inviarmi dai perduti Elisi mi è concesso tornare a vivere i tempi del vino e del grano, delle messi giù nella valle e delle viti sulle terrazze, del riso delle fanciulle irpine e della forza degli atleti. Fuori del sogno, solo poche ceneri e fosse li ricordano. Anche se il vento soffia con l’intensità d’allora, non più il fumo dei sacrifici agli antichi dei s’alza dalla rocca sul monte, ma strani volatili silenziosi, chimere ibridate d’uomo e uccello, che dalla mascella di Cairano vedo (non visto) lanciarsi nel vuoto e non precipitare, novelli Icari di questo mondo a me ignoto. ___ Io me ne sto fra le mie botti, nella culla gelata di queste pietre più vecchie di me, ancora annusando lontani effluvi di vini, calpestando detriti di passati abitatori delle grotte, svolazzando, se me ne viene l’estro, fra le volte su cui penzolano le ragnatele, o infilandomi in quei cunicoli oscuri, un tempo pozzi o ghiacciaie, oggi vuoti di senso, come tutto, qui. ___ Dormivo anche stamani, dunque, sotto il mio tetto di silenzio e di anni, quando le tegole del sogno hanno cominciato a cadere ad una ad una, e d’improvviso la luce ha vinto il buio, più voci hanno invaso le mie orecchie non più riempite di suoni, ma una su tutte mi ha scosso come una mano che mi dicesse finalmente: svegliati! ed era un canto inaudito, di una donna, una voce di quel tempo che avevo lasciato mille e mille anni fa, ancora uguale ad allora, densa di parole sconosciute eppure a me note. Mi ha ricordato le veglie di novembre attorno al fuoco, lo spillare delle botti fra mani callose e gote rosse di freddo, le nenie delle contadine nei campi… ___ Ma chi cantava, a chi battevano quelle mani che sentivo vibrare nell’aria, chi calpestava nuovamente il terreno attorno, fra lo scricchiolio dei vetri di bottiglie rotte e i gridolini di sorpresa di voci infantili? ___ Avevo gli occhi appesantiti dall’oscurità dei secoli, l’udito semitappato dalla solitudine, ma ho voluto accompagnare (non visto, non visto) quello strano drappello di uomini e donne per le spire di questo paese-serpente addormentato, luminoso e tranquillo. Vi ho aiutato io a non scivolare sui sassi muschiosi, io ad allontanare le nubi e a lasciarvi il sole, io ad aprire le porte delle chiese e le braccia degli abitanti. Vi ho anche preso del cibo e del vino novello, certo che me l’avreste offerto. ___ Cercavo di capire chi foste. Poi, quando il lupo ha fatto sentire ancora una volta il suo ululato, lì, dove meno me lo sarei aspettato, nella sala dove eravate riuniti a parlare, vi ho riconosciuti: Ecco i miei irpini, mi sono detto. Da oggi farò altri sogni. ___ Carla Perugini
13 novembre 2007
ecco i miei irpini
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4 commenti:
Testo intenso, poetico..Molto bello..Peccato che non siamo potuti venire. Mi auguro che le occasioni come questa si ripetano e che io e Rosalba possiamo essere presenti. Un caro saluto a tutti.
Franco Festa
Cara Carla,
condivido il tempo,il luogo e l'ululato,il canto inatteso e ancora danzante.
ho letto e man mano saliva un senso di commozione, un nodo alla gola, c'era la giornata di cairano, la grotta arcaica, la voce, il vento, il vino. c'era basilio e l'ululato. c'eravamo noi irpini con carla. grazie
Brava Carla!
grazie per averci immortalato in questo breve racconto.
AR
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