A distanza di 21 esatti anni dalla sua ultima edizione, come un fiore nel deserto, ecco che rinasce inaspettatamente il “Lacero d’oro”. Questo grazie ad Antonio Spagnolo, presidente del Circolo ImmaginAzione di Avellino, e della ex GIL, che il 2 dicembre c.a. hanno voluto che il premio Camillo Marino assumesse definitivamente il nome di premio “Laceno d’oro”. Il primo regista ad essere premiato è stato Marco Bellocchio, già omaggiato con targa speciale nel 1977. Alcuni suoi film sono stati proiettati nelle sale cinematografiche di Bagnoli, Avellino, Lioni e Mirabella E.
Per i giovanissimi, probabilmente, il “Laceno d’oro” dice nulla o poco; per chi invece ha sulle spalle gli “anta”, certamente ricorderà che “Laceno d’oro” voleva dire la terza manifestazione cinematografica più importante in Italia dopo quella di Venezia e di Taormina, ispirata al Neorealismo del cinema italiano. Primo regista ad essere stato premiato nel lontano 1959 fu M. Anonioni con il film “Il Grido”, a seguire P. Germi con “Il ferroviere”, l’anno dopo fu la volta di G.Pontecorvo con il film “Kapò”, e così via, sino ad avvalersi della direzione artistica di P.P.Pasolini. Ma neorealismo voleva dire anche un filone della cultura di sinistra che metteva o voleva mettere in evidenza le storture di una società fortemente caratterizzata dalla politica democratica cristiana; ecco allora, che, il suo ideatore, il sindaco di Bagnoli Tommaso Aulisa, ed i suoi realizzatori Camillo Marino e Giacomo D’Onofrio, non potevano certamente trovare spazio in una provincia che si avviava a subire grandi cambiamenti. Così scrive Paolo Speranza ne: “Gli anni del “Laceno d’oro” edito dall’Amministrazione provinciale di Avellino: “Con gli anni 80 l’avventura del “Laceno d’oro” volge all’epilogo, in una terra che vive una nuova e profonda mutazione. I soldi e gli affari della ricostruzione, più che le ferite del sisma, sconvolgono il tessuto urbanistico e sociale della provincia di Avellino. La fase della solidarietà internazionale, delle speranze, delle spinte al cambiamento si esaurisce ben presto, a vantaggio della corsa all’arricchimento facile, alle opere faraoniche, ai mega convegni politici. In questo scenario la cultura perde irrimediabilmente terreno. Avellino diventa più ricca, ma il Corso e il centro storico sono un deserto e le sale cinematografiche chiudono una dopo l’altra. L’Irpinia degli anni 80, d’altronde, non ha più bisogno del Laceno d’oro per farsi conoscere in Italia e nel mondo( …) Il Festival muore a fuoco lento, tra i sorrisi di circostanza e le pacche sulle spalle degli amministratori locali democristiani e l’indifferenza miope di tanta parte della sinistra” . Lizzani, Zavatti, Rea ed altri cercarono inutilmente di costituire un Ente “Laceno d’oro”, ma tutto fu inutile, sino a giungere al 1988, ultimo suo anno, quando lentamente si spense come una lanterna alla quale venne a mancare l’olio.
Dove andrà, adesso, il “Laceno d’oro?” A cosa si ispirerà? Per il momento non lo sappiamo; l’importante è che sia stato ripreso. Questo è quanto dire, la meta si troverà strada facendo, se si pensi che già riproporre la manifestazione ed i suoi film, da cineteca, già rappresenta di per sé un grande successo ed un motivo di orgoglio. Domenico Cambria
Per i giovanissimi, probabilmente, il “Laceno d’oro” dice nulla o poco; per chi invece ha sulle spalle gli “anta”, certamente ricorderà che “Laceno d’oro” voleva dire la terza manifestazione cinematografica più importante in Italia dopo quella di Venezia e di Taormina, ispirata al Neorealismo del cinema italiano. Primo regista ad essere stato premiato nel lontano 1959 fu M. Anonioni con il film “Il Grido”, a seguire P. Germi con “Il ferroviere”, l’anno dopo fu la volta di G.Pontecorvo con il film “Kapò”, e così via, sino ad avvalersi della direzione artistica di P.P.Pasolini. Ma neorealismo voleva dire anche un filone della cultura di sinistra che metteva o voleva mettere in evidenza le storture di una società fortemente caratterizzata dalla politica democratica cristiana; ecco allora, che, il suo ideatore, il sindaco di Bagnoli Tommaso Aulisa, ed i suoi realizzatori Camillo Marino e Giacomo D’Onofrio, non potevano certamente trovare spazio in una provincia che si avviava a subire grandi cambiamenti. Così scrive Paolo Speranza ne: “Gli anni del “Laceno d’oro” edito dall’Amministrazione provinciale di Avellino: “Con gli anni 80 l’avventura del “Laceno d’oro” volge all’epilogo, in una terra che vive una nuova e profonda mutazione. I soldi e gli affari della ricostruzione, più che le ferite del sisma, sconvolgono il tessuto urbanistico e sociale della provincia di Avellino. La fase della solidarietà internazionale, delle speranze, delle spinte al cambiamento si esaurisce ben presto, a vantaggio della corsa all’arricchimento facile, alle opere faraoniche, ai mega convegni politici. In questo scenario la cultura perde irrimediabilmente terreno. Avellino diventa più ricca, ma il Corso e il centro storico sono un deserto e le sale cinematografiche chiudono una dopo l’altra. L’Irpinia degli anni 80, d’altronde, non ha più bisogno del Laceno d’oro per farsi conoscere in Italia e nel mondo( …) Il Festival muore a fuoco lento, tra i sorrisi di circostanza e le pacche sulle spalle degli amministratori locali democristiani e l’indifferenza miope di tanta parte della sinistra” . Lizzani, Zavatti, Rea ed altri cercarono inutilmente di costituire un Ente “Laceno d’oro”, ma tutto fu inutile, sino a giungere al 1988, ultimo suo anno, quando lentamente si spense come una lanterna alla quale venne a mancare l’olio.
Dove andrà, adesso, il “Laceno d’oro?” A cosa si ispirerà? Per il momento non lo sappiamo; l’importante è che sia stato ripreso. Questo è quanto dire, la meta si troverà strada facendo, se si pensi che già riproporre la manifestazione ed i suoi film, da cineteca, già rappresenta di per sé un grande successo ed un motivo di orgoglio. Domenico Cambria