8 gennaio 2008

a sud di dio

quando mi guardavi mi innalzavi
come una nube al sole
quando chiudevi gli occhi e poi tacevi
io passeggiavo nudo e nuotavo in te



ho una croce tatuata sulla cute del capo
tra l’orzo nato smorto dei capelli
ho un’ostia di vita nel sepolcro del cuore
e ogni battito è attesa di un ritorno
ho lumini rossi accesi intorno alle parole
e voci tinte di porpora, lividi sul corpo
ogni accento è un’intonazione del vuoto
a ogni tremore al vento della fiamma
giro gli occhi alla porta



la mia ombra sul muro bianco
a primavera, ancora sa di inverno
dentro il mio petto, nell’abito scuro
il primo fiore di un albero di rame
anche in questa stagione
la morte ha un sapore
di neve senza zucchero e limone



ho un subbuglio urbano nel petto
una folla di manichini e di cose in soffitta
qui siamo tutti fuori uso
qui nessuno è mai per sempre
ma sempre in affidamento provvisorio
domani mi toccherà mangiare ancora
ancora poi domani e poi la sera
un andare e ridiscendere le scale
il sole è congelato sui pesci in pescheria



sono appesi agli alberi neri dell’inverno
a testa in giù i fecondati in vitro
legati a piedi uniti, tra la neve
a bocca aperta, a braccia spalancate
le ho uccise in bocca tutte le parole
le ho sputate a pezzi una ad una
come semi spaccati sotto i denti
mezza faccia me l’ha colpita il lampo



nel catino d’acqua morta
galleggiano le barche
affondano le onde
io sono qui
sul bordo smalto azzurro
rigo del mattino
pronto a far da testimone
ad offrire un alibi
ancora non so a chi



dopo che ha nevicato
e il cielo resta chiuso
ancora come un sudario
il vento
è uno stendardo di spine
oggi il tuo augurio
è pane
che sazia questo inverno
sotto questa neve



sul fianco, alla cinta dell’anno
ciondolano un tintinnio le scorze delle cozze
i giorni vuoti, i gusci neri.
a quale dio ho schiuso le mie porte?
avvolto nelle sue pellicce di volpe bianca
avanza
con passo lento e con qualcosa in mano



dove passando hai poggiato le mani
nell’aria è rimasta la tua impronta
nessuno reclama il tuo corpo
caduto nella nebbia, tra le foglie.
solo io.
vorrei cantare per te
dodici versioni diverse della stessa canzone.
anche mio padre è morto da un anno.
perché non vieni a ballare con me
e poi a sentirmi recitare in pubblico
le poesie che ti ho scritte?
vieni, qui il mattino
odora di amaretti scartati
il resto del giorno
di cicche fumose e guai.
ogni giorno
prima che il gallo canti tre volte
tu splendi nei miei sogni
città di dio

Nessun commento: